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G. de Chirico
Tommaso Didimo è un artista che impedisce alla penna del critico che si occupa di lui, di stare ferma. Tempus destruendi, infatti, presenta una novità nei confronti delle opere appena precedenti. Abbiamo parlato di “Anacronismo Informale” ; con questo recentissimo lavoro, il sostantivo tende a divorare l’aggettivo. Ci troviamo dinanzi ad una precisa “accentuazione figurativa”, anche se non possiamo certo parlare di “forma compiuta” . Il ribadito amore per la ricchezza materica spinge Didimo fra le braccia di una netta scelta barocca. Tempus deustruendi è un lavoro decisamente opulento e spettacolare; che cosa accade all’interno di un tale teatro? Da una caverna fuoriesce una fila di dannati alcuni dei quali sono investiti da una sorta di “metamorfosi ornitologica”. Didimo ama l’Inferno perché in questo luogo le leggi del visibile vengono clamorosamente alterate e tutto è possibile; il cielo è fuoco convulso e il rosario dei dannati termina a destra con il titanismo di una figura michelangiolesca. Il regno di Caronte non è però solo eccesso e sconvolgimento; dalla caverna, infatti, si diparte uno stillicidio di rose che corre verso la figura maschile di cui parlavamo appena sopra. Tutto ciò è più che logico; se l’Inferno è il luogo dell’iperbole, allora conterrà sia la potenza di immagini debordanti, che la raffinatezza della più squisita decadenza. Dicevamo del carattere scopertamente barocco del lavoro del nostro; un carattere che, non a caso, affonda le sue radici nei due punti di partenza di Didimo: l’Informale e la Pittura d’Azione. Ora è bene sottolineare che una scelta del genere definisce e conferma una precisa presa di posizione estetica e critica. Da sempre Didimo polemizza con ogni forma di essenzialismo e di “dimagrimento dell’arte”; esclude dal suo orizzonte, di conseguenza, il “concetto” e si dona senza riserve ad una pittura emozionante, sontuosa, “sardanapalesca”. Come per il Barocco Storico, Tempus destruendi si assume il compito di impressionare, commuovere e persuadere. Persuadere a che cosa ? Semplicemente all’arte, momento zenitale dell’esistenza. A che punta l’esaltazione dell’immaginazione ? Ancora, come nel caso del Barocco Storico, alla salvezza. Siamo salvi però non in direzione del messaggio cattolico, bensì, come dicevamo, in direzione dell’arte. Questa, a sua volta, conclude Tommaso Didimo, coltiva ed esibisce l’alterità; non però l’alterità ortopedica e sospesa della Metafisica, bensì quella di uno splendore e di una fantasmagoria che non esistono nell’universo empirico, e che solo la pittura, con le sue intramontabili alchimie, può garantire e far trionfare.
Robertomaria Siena
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